Pubmed rappresenta un motore di ricerca decisamente importante per noi aspiranti medici e comunque per tutti coloro che sono interessanti ad articoli scientifici o che ambiscono semplicemente ad essere aggiornati con le novità e i progressi biomedici… appena scoperto e perfezionato l’utilizzo però ci si imbatte necessariamente nel suo limite insito, per cui non tutti gli articoli sono consultabili, ma appunto per la maggior parte di questi occorre essere iscritti alla rivista stessa che l’ha pubblicato. Tale problema può essere risolti utilizzando il proxy dell’università, tramite il quale si può accedere a tutte le riviste (e solo a quelle) a cui l’università stessa è abbonata… configurando quindi il proprio browser al proxy dell’ateneo (che funziona però anche da barriera per tutti quei siti web che l’università ritiene inutili o dannosi) tramite il computer di casa si ha la stessa possibilità di consultazione che avremmo se utilizzassimo direttamente uno dei computer della facoltà…
A questo punto la domanda che sorge spontanea è : ma tutti gli altri? Tutti coloro che non sono né studenti, né insegnanti o che in qualche modo non abbiano la possibilità di tale servizio come fanno? Si devono accontentare dei pochi articoli che appaiono come ‘free’... oppure adeguarsi a sistemi di ricerca meno sofisticati i cui risultati saranno quindi meno appaganti…
Emerge quindi che anche nell’era di internet, caratterizzata dalla condivisione, dallo scambio di dati e quindi dalla gratuità di questi alla fine però si arriva comunque davanti a un ‘muro’ che non a tutti è concesso di oltrepassare… si ritorna quindi al concetto che la conoscenza, intesa in questo caso come scoperta scientifica, non è estesa a tutti, ma anche nei paesi che consideriamo moderni e avanzati culturalmente si opera un’esclusione, una selezione di chi può accedere a determinati dati.
Come rimediare? Rispondere risulta arduo, in quanto ciascuno dovrebbe essere capace ed avere la possibilità di vagliare le fonti da cui attinge… eppure non è semplice. Le fonti che utilizziamo sono plurime e non abbiamo più un’unica fonte di verità, come poteva essere nell’antichità la tradizione orale (che ha permesso la trasmissione di tutti quei miti che ci sono pervenuti in forma scritta nell’Iliade e nell’Odissea) o in tempi più recenti la tradizione agreste ( come nella metafora del mezzadro proposta nell’Assignment 3).
Forse quindi oggi coloro che sono ‘bloccati’ all’accesso alla cultura ( intesa come scoperta, progresso) hanno meno possibilità di rimediare…come appare evidente negli articoli dell’Economist ‘Sign of times’ e ‘Publish and be wrong’. Nel primo si consiglia al lettore di vagliare i metodi della ricerca proposta in quanto spesso le statistiche stesse sono erronee e portano a risultati fuorvianti e non veritieri, nel secondo si evidenzia il fatto che le riviste scientifiche spesso ci propongono gli articoli più sorprendenti, che mirano a suscitare scalpore ma che sono anche meno veri.
Prima si credeva che alla mente dell’uomo dovessero essere posti dei limiti, e quindi ad esempio mi torna in mente il concetto di ὕβρις, ‘iubris’ greca… l’uomo andando oltre i limiti imposti dagli dei necessariamente si macchia di colpa nei loro confronti. Non diversamente Dante punisce Ulisse che per la sua sete insaziabile di conoscenza va oltre i limiti (questa volta imposti da Dio) agli uomini.
Ma in una società che consideriamo laica e democratica possono uomini porre limiti alla conoscenza di altri? Che la conoscenza e il sapere siano ormai strettamente legati all’economia è un dato di fatto, ma che questo precluda la diffusione di tale conoscenza in modo capillare siamo davvero in grado di accettarlo?